Cimabue o Duccio?
Presso la National Gallery di Londra è in deposito un dipinto assai interessante: è la tela raffigurante “La Madonna di Cimabue portata in processione” che il pittore inglese Frederic Leighton (1830-1896) dipinse fra il 1853 e il 1855. Esibita per la prima volta alla Royal Academy nel 1855, venne acquistata in quella occasione dalla Regina Vittoria.
Sebbene originario dello Yorkshire, Frederic Leighton iniziò la sua educazione artistica formale a Francoforte allo Städelsches Kunstinstitut, prima sotto J.D. Passavant poi sotto Eduard von Steinle. Fu Steinle a trasmettere al suo protetto un interesse per il Medioevo e la prima arte italiana; nel suo elenco di dipinti che Leighton avrebbe dovuto vedere in occasione di una visita a Firenze comparivano infatti opere di Cimabue, Giotto, Masaccio, Paolo Uccello, Benozzo Gozzoli, Ghirlandaio, Botticelli. Fu Steinle a suggerire inoltre a Leighton di visitare in primo luogo Roma e ad introdurlo presso Peter von Cornelius, uno degli ultimi pittori della corrente dei Nazareni rimasto in città la cui influenza è evidente in quest’opera:
Cimabue, vestito di bianco e incoronato da una corona d’alloro, conduce per mano il suo allievo Giotto. All’estrema destra Dante, appoggiato a un muro con le spalle allo spettatore, assiste alla processione. La figura a cavallo che segue il corteo è probabilmente da identificare con il re Carlo d’Angiò. Vari altri artisti compongono il resto della folla che porta il palco su cui poggia la pala d’altare.
La fantasiosa ricostruzione di Leighton segue il racconto che Giorgio Vasari diede ne “Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori, e architettori” la cui prima traduzione in inglese – curata da Jonathan Foster – risale a pochi anni prima (1851-1852).
Nella vita dedicata a Cimabue Vasari scriveva:
“[…]Fece poi per la chiesa di Santa Maria Novella la tavola di Nostra Donna, che è posta in alto fra la capella de’ Rucellai e quella de’ Bardi da Vernia, la quale opera fu di maggior grandezza che figura che fusse stata fatta insin a quel tempo et alcuni Angeli che le sono intorno mostrano, ancorché egli avesse la maniera greca, che s’andò accostando in parte al lineamento e modo della moderna.
Onde fu questa opera di tanta maraviglia ne’ popoli di quell’età, per non si esser veduto insino allora meglio, che da casa di Cimabue fu con molta festa e con le trombe alla chiesa portata con solennissima processione, et egli perciò molto premiato et onorato […]”
(Giorgio Vasari, Le Vite, II, 1967, p. 40)
La pubblicazione del documento in cui, nel 1285, si allogava la grande tavola a Duccio di Buoninsegna risale alla fine del Settecento: nonostante questo l’attribuzione dell’opera al grande pittore senese (conservata dal 1936 agli #Uffizi) continuò ad incontrare, in virtù dell’autorevolezza accordata alla fonte vasariana, non poche difficoltà.
Leggiamo quello che a tale riguardo scriveva Luciano Bellosi:
” […] Se l’attività matura, che fa capo alla Maestà [per il Duomo di Siena, n.d.r.] , da sempre riconosciuta a Duccio di Buoninsegna, è nel complesso assai ben assestata, sulla ricostruzione dell’attività giovanile hanno pesato negativamente le difficoltà a riconoscergli la Madonna Rucellai. La sua secolare attribuzione a Cimabue, sulla fede di Vasari (Le Vite, II, 1967, p. 40), che riprendeva un’opinione più antica e la considerava addirittura il capolavoro del grande pittore fiorentino, aveva fatto passare inosservata la pubblicazione, già nel 1790, del documento in cui la Compagnia dei Laudesi commissionava a Duccio, nel 1285, una grande tavola con la Madonna (Fineschi, 1790). Questa carta, pur nota anche a Milanesi (1854), venne presa in considerazione, nell’ambito storico-artistico, soltanto un secolo dopo da Wickhoff (1889); ma anche successivamente molti studiosi continuarono ad avere difficoltà a considerare la Madonna Rucellai come opera di Duccio e crearono un anonimo Maestro della Madonna Rucellai (Suida, 1905; Cecchi, 1928).
Un troppo rigido concetto di ‘scuola’ rendeva difficile ammettere che un’opera conservata in un’importante chiesa fiorentina, considerata a lungo il capolavoro di un grande pittore fiorentino come Cimabue, e che con Cimabue denunciava tanti rapporti, potesse essere opera di un senese come Duccio […]”.
(Luciano Bellosi, “Duccio di Buoninsegna”, in “Enciclopedia dell’Arte Medievale, 1994, https://www.treccani.it/…/duccio-di-buoninsegna…/“
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