Firenze mèta turistica dal 1300 !!!
E’ opinione comune che il turismo sia nato nel XVIII secolo con i viaggi del gran tour – da cui appunto prende il nome -, anche se già nel ‘500 e ‘600 abbiamo molte testimonianze di amatori delle arti che andavano a visitare città e monumenti, spesso accompagnati da guide d’eccellenza quali artisti o letterati.
E’ però una sorpresa scoprire che a Firenze il turismo esisteva già dal medioevo, e non si parla dei mercanti in viaggio d’affari o dei pellegrini che percorrevano la Via Francigena, ma di turisti delle città d’arte. E’ un autorevole testimone che ce lo racconta, Dino Compagni, membro del governo comunale e contemporaneo di Dante Alighieri, nella sua Cronica delle cose occorrenti ne’ tempi suoi, dove descrive i fatti politici della sua città nel periodo delle lotte fra Guelfi Neri e Guelfi Bianchi fra il 1280 e il 1302.
Ecco le sue parole: <<La detta città di Firenze è molto bene popolata, e generativa per la buona aria; i cittadini ben costumati, e le donne molto belle e adorne; i casamenti bellissimi, piena di molte bisognevoli arti, oltre all’altre città d’Italia. Per la qual cosa molti di lontani paesi la vengono a vedere, non per necessità, ma per bontà de’ mestieri ed arti, e per la bellezza ed ornamento della città>>.
Il manoscritto del Compagni venne ritrovato da Ludovico Antonio Muratori nella Biblioteca Magliabechiana e nel 1726 la Cronica venne pubblicata, per la prima volta, nel IX volume dei Rerum Italicarum Scriptores. In seguito ne vennero resi noti altri due codici manoscritti custoditi nelle biblioteche Laurenziana, sempre a Firenze, e Vaticana.
Alla data del ritrovamento e della pubblicazione a stampa la Toscana era sotto il governo dell’ultimo Medici, Gian Gastone, la cui sorella, l’Elettrice Palatina Anna Maria Luisa, era già rientrata a Firenze da 10 anni.
Colpisce quindi l’analogia della frase di Dino Compagni <<per la bellezza ed ornamento della città>> con quella riportata nell’importantissimo articolo III del “Patto di Famiglia” del 1737 riguardo all’eredità delle collezioni medicee. Alla morte di Gian Gastone infatti, Anna Maria Luisa dovette trasferirle ai nuovi Granduchi Asburgo Lorena ma impose l’impegno <<di conservare a condizione espressa che di quello [che] è per ornamento dello Stato, e per utilità del Pubblico, e per attirare la curiosità dei Forestieri, non ne sarà nulla trasportato, o levato fuori dalla Capitale, e dello Stato del Gran Ducato>>.
Capolavoro della lungimiranza dell’ultima Medici che, per dare autorevolezza alla sua volontà di non disperdere le collezioni di famiglia dopo la fine della dinastia, ricorreva non solo al diritto romano per l’aspetto giuridico della “Convenzione”, ma anche alla tradizione secolare della vocazione artistica fiorentina attraverso la voce di illustri predecessori: dal Dino Compagni del 1310 al Giorgio Vasari del 1565, che così aveva scritto nella Vita di Michelangelo, rievocando la passione collezionistica e mecenatizia dei primi Medici: <<E tornando al giardino del Magnifico Lorenzo, era il giardino tutto pieno d’anticaglie e di eccellenti pitture molto adorno, per bellezza, per studio, per piacere ragunate in quel loco>> non per essere godute gelosamente, ma per servire da esempio ai giovani artisti e, nei secoli a venire, per essere ammirate dai turisti.